XXIII Torino International GLBT Film Festival

DA SODOMA A HOLLYWWOD FILM FESTIVAL, TORINO

17 - 25 aprile, sono queste le date scelte quest’anno per il Festival del Cinema GLBT di Torino e se si dà un’occhiata al programma non si può non rimanere sorpresi dalla ricchezza di appuntamenti. Da Sodoma a Hollywood giunge alla ventitreesima edizione. Ne è passato di tempo da quando un festival di nicchia cominciò a proiettare i film proibiti e a parlare di tematiche considerate scabrose. Oggi il festival ha prestigio nazionale, da tre anni viene gestito dall’organizzazione del Museo Nazionale del Cinema di Torino, la stessa che organizza il Torino Film Festival. Con delicata attualità affronta i temi più interessanti della diversità sessuale e attira un vastissimo pubblico. L’evento non si limita a essere una retrospettiva, ma offre momenti di confronto e dialogo che le platee hanno imparato ad amare.
Non dimentichiamo che il festival ha permesso agli Italiani di conoscere Gus Van Sant, Eytan Fox, François Ozon e numerosi altri registi allora emergenti.
I film internazionali suddivisi in tre sezioni competitive (lungometraggi, cortometraggi e documentari) saranno valutati da una giuria che assegnerà il premio Gustavo Mai al miglior lungometraggio e un premio ai migliori lavori delle altre due sezioni. Anche il pubblico potrà votare, alla ricerca di un vincitore per ogni sezione. Altrettante saranno le sezioni non competitive che a loro volta presenteranno un ampio panorama tematico di qualità. Inoltre da quest’anno verrà assegnato un nuovo premio: Nuovi Sguardi all’opera che, secondo l’èquipe di programmazione del festival, si distinguerà “per l’originalità del linguaggio, l’utilizzo di nuovi moduli, nuovi criteri, nuove formule nel raccontare la storia per immagini”.
Straordinaria la retrospettiva che presenta il cinema nipponico. J-ender: big bang love in Japan è il titolo della rassegna che spazia dagli anime alla celebre novelle vague giapponese, regalando un cinema di indiscussa levatura qualitativa e di interesse antropologico profondo. Al Sol Levante viene dedicata una panoramica, per la prima volta in Europa, che percorre la storia del cinema giapponese dagli anni sessanta ad oggi. L’altro paese omaggiato dal festival torinese è il Portogallo, terra di confine: punta estrema di un continente a picco sull’oceano. Da ormai tre anni il festival propone una sezione che celebra le coraggiose produzioni europee che affrontano il tema delle diversità di genere e orientamento sessuale. Quest’anno verrà presentata la cinematografia queer portoghese: diversi registi e scelte stilistiche per una panoramica divertente e allo stesso tempo impegnata. Per l’occasione il regista João Pedro Rodrigues sarà presente al festival e presenterà Odete e O fantasma, film quest’ultimo che gli è valso i plausi e allo stesso tempo le critiche di una comunità gay scissa nel giudizio.
Dalla Francia invece Sébastien Lifshitz per incontrare il pubblico torinese e presentare i suoi film.
Numerosi saranno gli ospiti e gli eventi correlati al festival, tra cui si segnala la performance live di apertura che accompagnerà la proiezione di The Angelic Conversation, capolavoro di Derek Jarman, per il quale i Coil composero le musiche originali.
Una curiosità: la locandina di quest’anno è stata disegnata e regalata al festival da Francesco Vezzoli. L’immagine è un omaggio a Divine, attrice e cantante icona del camp, scomparsa nel 1988 a cui il festival dedica anche la proiezione del suo più grande successo: Lost in the dust, nel quale il travestito recita a fianco di Tub Hunter.

In cantiere il progetto per il nuovo museo della Fotografia a Milano

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

Gioiscano gli appassionati di fotografia: presto Milano avrà un museo appositamente dedicato alle istantanee. Se ne parlava da tempo, ma ora pare che il progetto si concretizzerà nei prossimi mesi. La sede scelta è più che mai suggestiva: i vecchi edifici dell’Enel, situati vicino al cimitero monumentale, nel tanto chiacchierato quartiere cinese del capoluogo lombardo. L’idea di uno stabilimento che fu industriale per creare il museo della fotografia risulta più che mai azzeccata, proprio nello sviluppo tecnologico la tecnica fotografica affonda le sue radici storiche e, grazie alle continue innovazioni tecniche, si apre a nuove prospettive. Riqualificare le vecchie aree aziendali e donare nuove destinazioni agli edifici che appartengono alla cosiddetta archeologia industriale è il trend del momento, e Milano non poteva certo non parteciparvi. Gli investimenti stanziati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali ammontano a circa sette milioni di euro. Insomma: la sede c’è, il denaro anche, cosa manca? Il grande nome del progettista a cui tocca dare nuova luce ai vecchi fabbricati. All’appello risponde Pierluigi Cerri, già chiamato a sviluppare progetti simili, compito che ha svolto in maniera egregia. Basta ricordare il recupero gli spazi industriali della Fondazione Arnaldo Pomodoro.
Insomma gli ingredienti per un’ottima ricetta ci sono, se non bastasse, ciliegina sulla torta è l’approvazione di Sgarbi, in qualità di assessore, che annuncia di voler rendere Milano la città della Fotografia.
Diverse saranno le proficue collaborazione che potranno tornare utili al museo ai fini di un’efficace e coinvolgente programmazione di attività: il nuovo museo potrà dialogare con il museo della Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda nella vicina Cinisello Balsamo e non solo. A Milano hanno sede Forma, il Centro Internazionale di Fotografia e il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica. Il progetto prevedono non solo l’allestimento di mostre, ma anche l’organizzazione di incontri e scambi internazionali. Il museo sarà luogo di esposizione e fruizione ma anche di conservazione e valorizzazione, un vero e proprio centro culturale a tema. Chissà se vedremo anche una sezione dedicata agli apparecchi fotografici e al loro funzionamento, come accade per le camere oscure e le vecchie pellicole al Museo Nazionale del Cinema di Torino. Noi, intanto, aspettiamo fiduciosi la realizzazione di quello che si annuncia un progetto significativo non solo per il nord-italia: negli intenti degli ideatori il museo diverrà il primo d’Italia e uno tra i più importanti d’Europa.

Pensare l’arte per vederla meglio: primo Festival dell’Arte Contemporanea di Faenza

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

Biennali, Premi, Festival, Fiere, Mostre… chi più ne ha, più ne metta: le istituzioni che si occupano di cultura sono in preda ad una vera e propria frenesia che ha reso quello dell’arte un mondo luccicante e glamour, spesso troppo assoggettato alla regole del business selvaggio. Nel gran calderone, fortunatamente, sono finiti anche numerosi eventi degni di nota, con finalità educative e sociali, coerenti ai dettami del legislatore che prevedono che si tuteli, valorizzi, promuova, produca e si renda accessibile la cultura. Eppure, in questo mare magnum che pare essere omnicomprensivo, manca qualcosa: manca un momento dedicato alla riflessione, al confronto, al dialogo. Talvolta fermarsi diviene necessario: se chi si ferma è perduto, chi non si ferma può ugualmente smarrirsi.
Per rispondere a questioni meta-filosofiche che hanno a cuore l’analisi e le sorti dell’arte contemporanea, a Faenza è stato organizzato il primo Festival internazionale dell’Arte contemporanea, anche se forse sarebbe più corretto dire “sull’arte contemporanea”. Il titolo di questa prima edizione, che avrà luogo a fine maggio, è Futuro Presente / Present Continuous.
Un comitato scientifico d’eccellenza, composto da Angela Vettese, Pier Luigi Sacco e Carlos Basualdo, ha riunito attorno a sé parte della comunità dell’arte contemporanea, vale a dire: artisti, economisti, critici e protagonisti vari.
L’evento volutamente non mette in scena nulla, non espone, non organizza mostre né happening (anche se in città sono stati organizzati una serie di eventi collaterali), ma seziona il circuito dell’arte contemporanea. Obiettivo della manifestazione è dunque analizzare un vero e proprio organismo, osservare le tendenze in atto cercando di prevedere le future, in un momento in cui, come spiega Sacco, “il sistema dell’arte evolve e cresce con una velocità quasi insostenibile”. Si sente quindi l’esigenza di incontri, colloqui, dibattiti, che animeranno i relatori e il pubblico, invitato a seguire il festival e a partecipare attivamente, conferendo quindi all'evento la dimensione del forum.
Tra gli artisti e addetti ai lavori in senso stretto si segnala la presenza di Michelangelo Pistoletto (mai assente in occasioni di confronto di questo genere) Joseph Kosuth e dei critici Achille Bonito Oliva e Germano Celant. Tra gli invitati si annoverano direttori di musei e istituzioni culturali internazionali, nonché docenti universitari e personalità del mondo politico-amministrativo.
Una particolare menzione merita la sezione dedicata all’economia della cultura, nella quale alcuni imprenditori e collezionisti si confronteranno con i “creativi”.
Infine, numerosi istituti di formazione e università italiane e straniere sono stati invitati a seguire i lavori e a partecipare in qualità di partner, con l’obiettivo di realizzare collaborazioni future che contribuiscano alla nascita di un vero e proprio network di elevata qualità.
La strada per la costruzione di una vera e propria rete sinergica è stata aperta… ci auguriamo che il festival non si limiti ad essere un momento autoreferenziale, ma che davvero porti a nuovi stimoli e momenti di studio.
Il dubbio è che proprio questo festival, che si prefigge di sviscerare una tendenza attuale, sia niente più che il frutto naturale di questa tendenza. Cresce l’attenzione rivolta ad un sistema e crescono le occasioni di lavoro (e guadagno) di coloro che si autoproclamano analisti o protagonisti del sistema, rendendosi quasi indispensabili al sistema stesso. Lo sguardo oggettivo è per definizione inesistente, ma quanto potranno essere obiettivi i personaggi che si muovono da anni in un ambiente dato? Quanto c’è di politico dietro l’organizzazione di un festival in una città che ambisce a divenire un distretto culturale, ignorando forse alcune regole sui distretti che alcuna letteratura di settore ha prodotto negli anni passati?
Il festival si propone di “dare la parola all’arte” ma dato uno sguardo ai nomi dei relatori viene il dubbio che la parola sia appannaggio esclusivo di alcune note personalità. Il programma è interessante, variegato e gli argomenti proposti sono cruciali all’analisi che ci si prefigge di fare; il limite di queste occasioni però è che, seguendo la smania di avere grandi nomi, ci si dimentichi che l’evoluzione è tanto rapida da necessitare voci sicuramente meno autorevoli ma più attuali.

DZ Bank Group: collaborazioni fruttuose

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°6 - settembre/ottobre 2008)

Arte e banche in Germania: esempio di sinergie

I gruppi bancari tedeschi fanno a gara per promuovere la cultura. Oltre al noto impegno di Deutsche Bank, il mecenatismo mitteleuropeo si avvale anche di altri grandi protagonisti. Recentemente la generosità di DZ Bank Group, uno dei maggiori gruppi di credito cooperativo, ha donato ampia visibilità al gruppo. Beneficiario e partner fortunato lo Städelsches Kunstinstitut di Francoforte che ha ricevuto in dono un fondo di oltre 200 fotografie. Il museo è sicuramente uno dei più celebri istituti culturali tedeschi, vanta una collezione vastissima di opere suddivise in diversi periodi storici che documentano settecento anni di storia europea.
A queste ora si aggiunge il dono di DZ Bank Group: si tratta di un insieme eterogeneo di istantanee dal valore ragguardevole, basta citare alcuni nomi per averne un’idea: Cindy Sherman, Robert Mapplethorpe, Sigmar Polke, Andy Warhol e Robert Rauschenberg. Come in tutte le collezioni, l’insieme delle opere aumenta il valore totale che deriverebbe dalla mera somma di ogni prezzo. Lo Städelsches Kunstinstitut potrà trattare la collezione come un unicuum eccezionale, ma anche prestare alcuni pezzi ad altre istituzioni. L’idea è quella di massimizzare la fruizione delle opere evitando di tenerle nei caveau della banca o in depositi poco accessibili. La prima tappa prevede l’esposizione dell’intera collezione, che avrà luogo dal 18 giugno al 21 settembre.

Pierre Hugo è il vincitore del premio KLM Paul Huf

(articolo pubblicato su Artkey n°5 - giugno/luglio 2008)

Il fotografo sudafricano Pietre Hugo è stato proclamato vincitore per l’anno 2008 del premio KLM Paul Huf, organizzato ad Amsterdam da KLM Airline e Foam Fotografiemuseum. Attraverso questo evento, a cadenza annuale, il Foam intende premiare un giovane artista che abbia meno di trentacinque anni. In realtà il premio è precedente la fondazione del museo, che ora ha l’onore di gestire l’evento. Intitolato al fotografo olandese Paul Huf (1924 – 2002) il premio è stato istituito nel 1999 da KLM (azienda per la quale Huf lavorava), per celebrarne l’innovativo approccio che ha caratterizzato il suo lavoro di fotografo. Il vincitore di questa edizione, Pietre Hugo è nato a Cape Town nel 1976 e, insieme ad altri settantotto fotografi provenienti da tutto il mondo, è stato selezionato per partecipare al premio. Degli altri partecipanti trentasei erano di provenienza europea, cinque arrivavano dall’America Latina, quattordici dagli Stati Uniti, nove dal continente australiano e tre erano gli Africani. Impegnato da anni in una fotografia che è anche indagine sociale e politica, Hugo è stato apprezzato per la maturità creativa che rende i suoi ritratti diretti e intensi. Le caratteristiche che la giuria ha cercato e trovato nel suo lavoro sono l’elevata qualità e l’originalità. Il direttore della Giuria, Willis Hartshorn ha dichiarato di essere rimasto sorpreso dalla maturità artistica e di contenuti presenti nelle foto di questo artista emergente. Negli ultimi anni la sensibilità di Hugo lo ha portato a distinguersi internazionalmente e gli ha concesso di vincere il premio “Standard Bank Young Artist for Visual Art” nel 2007 e il primo premio della sezione Ritratti del “World Press Photo Awards” nel 2006. Inoltre, numerose mostre, personali e collettive ne hanno suggellato il riconoscimento. Ricordiamo la personale “The Albino Project”, tenuta nel 2004 presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Roma, e la più recente “Messina/Musina” organizzata nel 2007 presso la Galleria Extraspazio, sempre a Roma. Oltre al premio in denaro, di 20.000 euro, Hugo potrà soggiornare per tre settimane nella residenza per artisti di Amsterdam e realizzerà una mostra personale che si terrà il prossimo autunno al Foam. Quest’edizione del premio, assegnato il 13 marzo 2008, si è avvalsa di una giuria eccezionale, composta, oltre che da Willis Hartshorn –direttore del Centro Internazionale di Fotografia di New York (ICP)- da Sunhee Kim direttore artistico del Bund 18 Creative Center di Shanghai; Alessandra Mauro, direttore artistico di Forma, Centro Internazionale della Fotografia con sede a Milano; Guy Tillim, fotografo che come il vincitore proviene da Cape Town e infine Wim van Sinderen, curatore del Photography Museum di The Hague.

Frac - Fondo Regionale Arte Contemporanea, Regione Piemonte

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°5 - giugno/luglio 2009)

Il Piemonte acquista undici opere di arte contemporanea e istituisce il primo fondo regionale italiano La Regione Piemonte si avventura in un progetto che, primo in Italia, conferma le scelte pubbliche degli ultimi anni. Recentemente, infatti, il territorio torinese prima e quello piemontese poi hanno saputo trasformarsi reinterpretando se stessi. Nell’ambito dei un ampio progetto di rinnovamento politico, economico e sociale, notevoli sono stati gli impulsi pubblici agli investimenti culturali. Particolare attenzione è stata rivolta all’arte contemporanea: oggi c’è addirittura un intero mese, quello di novembre, esplicitamente dedicato. Numerosi sono le istituzioni che hanno collaborato e si sono adoperate per dar vita a un vero e proprio sistema, tanto che oggi Torino viene identificata come la capitale della cultura contemporanea per eccellenza, superando di gran lunga altri centri che storicamente si contendevano il primato. Complici una serie di politiche azzeccate: l’Amministrazione Pubblica si è affiancata alla gestione dei privati e ha permesso l’innescarsi di fruttuose collaborazioni. La città che avrebbe dovuto subire la crisi della storica casa automobilistica ha saputo rigenerarsi, investire sul terziario e mutar forma, investendo sul turismo culturale.
La Regione, a riprova del proprio impegno, ha recentemente istituito il FRAC: il Fondo Regionale di Arte Contemporanea, seguendo l’esempio dei cugini d’oltralpe e proponendo per la prima volta in Italia un modello di successo e innovazione. In Francia, infatti, dal 1982 esistono diversi Frac, nonché il Fnac che raccoglie la collezione dello Stato. Lo scopo è quello di acquisire opere di giovani artisti emergenti, italiani o stranieri. Il Piemonte ogni anno stanzierà 150mila euro per l’acquisto di nuove opere, selezionate da un apposito comitato curatoriale durante la manifestazione Artissima, la celebre fiera torinese che si caratterizza proprio per la promozione della giovane arte. Per il primo biennio del Frac, i curatori incaricati sono stati Francesco Bonami, Cristine Macel e Agustin Pérez Rubio. A inaugurare la collezione le opere di Keren Cytter, Sam Durant, Jimmie Durham, Cyprien Gaillard, Vidya Gastaldon, Ian Kiaer, Josephine Meckseper, Tom Molloy, Evariste Richer, Ignacio Uriarte.
Le finalità del progetto Frac sono, oltre che culturali, didattiche: il fondo avrà modo di sviluppare un’intensa e regolare attività pedagogica. A tal scopo la collezione sarà itinerante, essendo la circolazione delle opere uno degli obiettivi della politica di sviluppo messa in atto dalla Regione. Gli organizzatori del progetto, con nobile intento, desiderano ridurre le disparità geografiche tra le differenti aree regionali e avvicinare un pubblico vasto. Tale approccio però non è di immediato sviluppo: si rischia di investire molto senza tuttavia avere le minime garanzie di successo. Ben vengano gli azzardi arditi, ma talvolta alcune imprese paiono battaglie contro i mulini a vento. È facile che gli amanti dell’arte contemporanea che vivono nei piccoli centri si spostino per seguire la propria passione, purtroppo non si può dire lo stesso per gli abitanti di città importanti, poco disposti a viaggiare se non per grandi eventi di richiamo. D’altro canto è preferibile che la Regione organizzi eventi anche minori, di maggior rischio ma dai contenuti elevati che normalmente le mostre blockbuster non possono vantare. Il Frac ha inaugurato la sua prima tappa all’Arca di Vercelli, nella trecentesca chiesa di San Marco recuperata e aperta al pubblico lo scorso novembre. Gli organizzatori si aspettano un riscontro positivo, poggiando le proprie speranze sul brillante risultato ottenuto con la mostra “Peggy Guggenheim e l’immaginario surreale” che ha attratto oltre 500mila visitatori. Chi, sulla base di un successo tanto specifico, si aspetta esiti importanti, pecca però di ingenuità: la collezione esposta a novembre non solo constava di capolavori considerevoli da un punto di vista storico-artistico, ma si avvantaggiava di quel surplus derivato dall’unicum che la storia stessa della collezione denota. Probabilmente quando il Frac consterà di un numero maggiore di opere sarà più facile attirare i visitatori; inoltre se l’investimento in arte funziona, presto le opere acquistate si storicizzeranno e aumenteranno il proprio valore.
Intanto apprezziamo e lodiamo la capacità di lungimiranza che spesso manca agli enti pubblici, nonché la volontà di dar vita a un progetto artistico diffuso sul territorio. Dopo Arca, la collezione sarà esposta a Boves, cittadina del cuneese nota per il ruolo avuto durante la Resistenza. Qui verrà istituita la sede permanente del Frac. Infine, sempre nel 2008, il Frac troverà dimora temporanea a Biella, presso la Fondazione Pistoletto. Tutte le mostre saranno affiancate da un’intensa attività didattica atta a facilitare la comprensione e ampliare la conoscenza dell’arte contemporanea.

Nessuna notizia di Pippa Bacca, scomparsa in Turchia














Da diversi giorni ormai non si hanno più notizie di Giuseppina Pasqualino di Marineo, 33 anni, in arte Pippa Bacca, giovane artista milanese nipote dei Piero Manzoni.
Pippa è scomparsa in Turchia, terra che aveva deciso di includere nel progetto “Spose in viaggio” ideato insieme all’amica Silvia Moro. La Farnesina e le autorità turche hanno intrapreso un’azione comune per ritrovare la ragazza, il cui ultimo avvistamento risale a oltre 10 giorni fa.
Il progetto “Spose in viaggio”, meglio di qualunque altra informazione in questo momento, può dare un’idea della personalità vivace e impegnata di Pippa.
Le due artiste, vestite da spose, hanno intrapreso un viaggio in autostop lungo i Balcani e il Mediterraneo: dall’Italia alla Serbia, poi Bosnia, Bulgaria, Turchia, Libano, Palestina, Israele, Siria…
Il viaggio come metafora della vita, i mezzi poveri per avvicinarsi alle popolazioni, l’autostop come scelta di fiducia negli altri. Le protagoniste: due spose, nei loro abiti nuziali, bianchi, portatrici di simboli tanto forti, in particolar modo nella cultura tradizionale mediterranea.
Si legge sul blog che segue e promuove il progetto: “Un matrimonio con la terra, la pace, con la gente tutta [...] Due le spose, due il numero dell’incontro, del reciproco e del femminino, del pari, del multiplo, del diverso. Le letture di un gesto artistico di questo tipo sono infinite.
La sposa è il bianco, la luce...” Gli abiti delle spose, portatori di memorie, supporto e testimoni del viaggio, sarebbero stati esposti, alla fine del progetto, assieme a foto, video e altri oggetti raccolti durante il percorso. Tra centri educativi, luoghi di aggregazione e culto, strade e mercati le due donne avrebbero dovuto esplorare l’incontro con culture diverse, ricche di universi simbolici e suggestioni tradizionali, segnate da guerre ancora non concluse, ricercando sì le differenze ma anche, e soprattutto, un comune sentire, un bagaglio di connessioni condivise che sfidano il concetto di confine e che superano i limiti geografici.
Durante il viaggio le due artiste si sono separate, dandosi appuntamento di lì a qualche giorno. Appuntamento che però Pippa ha mancato.
Speriamo vivamente che le ricerche non siano vane e che nelle prossime ore giungano notizie certe e rassicuranti.

Per informazioni sul progetto: http://bridesontour.fotoup.net/

Biennale di Sydney, 18 giugno - 7 settembre 2008

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

"Revolution - Form that Turn" è il titolo scelto per la prossima Biennale di Sidney che avrà luogo dal 18 giugno al 7 settembre.
Biennale storica (la prima edizione è del 1973) quest'anno è curata da Carolyn Christov-Bakargiev, già curatrice del Castello di Rivoli e della prima edizione della Triennale di Torino (2005). Storica dell'arte contemporanea si interessa alle relazioni tra diversi momenti temporali, in particolare al dialogo tra le avanguardie del novecento e le ultime tendenze contemporanee. Questo dialogo troverà spazio anche alla Biennale di Sidney che indagherà quali siano i temi e le figure che ritornano e come la percezione di tali punti fermi si evolva e si modifichi nel tempo. Guardarsi allo specchio permette talvolta di scoprire nuovi dettagli di ciò che si conosce meglio, la Biennale di Sydney permetterà ai visitatori di scrutare all'interno del proprio mondo artistico e personale, proponendolo secondo un altro punto di vista. Cosa succederebbe se si rovesciassero le cose? Se provassimo a mettere il mondo sottosopra per modificare le nostre percezioni? Sono queste le domande che Christov-Bakargiev cercherà di porre ai visitatori organizzando una Biennale che lei stessa definisce anarchica, caotica e insubordinata, capace di rovesciare l'ordine precostituito delle cose. Il caos non sarebbe tale se un solo disordinato giocatore lo creasse: talvolta decostruire diviene più difficile che costruire, pertanto la curatrice sarà coadiuvata da un vera e propria équipe di fautori della confusione: Gridthiya Gaweewong, Massimiliano Gioni, Raimundas Malasauskas, Jessica Morgan, Hans Ulrich Obrist e Russell Storer.
Come già nelle ultime quattro edizioni, la Biennale si terrà principalmente presso il dock Pier 2/3 della Walsh Bay, l'unico vecchio fabbricato a essere mantenuto nella sua architettura originaria, non essendo stato demolito o trasformato. Negli anni novanta la Walsh Bay rappresentava un quartiere degradato di Sidney, una zona portuale in stato di semiabbandono. Nel 1998 un piano di riqualificazione urbana ne sancì la destinazione culturale. Quest'anno si celebra quindi il felice anniversario della decisione che ha permesso di rendere Walsh Bay il miglior progetto di recupero cittadino dell'intera Oceania, riconosciuto all'estero grazie a diversi premi e a una ricca letteratura di settore che ha studiato il caso. La sede Pier 2/3 è divenuta quindi un importante spazio culturale non museale e viene utilizzata, oltre che per la Biennale, per altri eventi culturali come il Sidney Festival e il festival di letteratura.
La Biennale di Sydney, già evento di richiamo internazionale, sta intessendo nuove proficue relazioni con altre istituzioni di rilievo. In particolare il progetto Art Compass 2008 ha visto la collaborazione con la Triennale di Yokohama e le Biennali di Shanghai, di Singapore e di Gwangju, che si svolgono nel 2008. Si tratta quindi di un meraviglioso progetto per sviluppare i contatti e la cooperazione nella regione del Pacifico, permettendo ai visitatori di conoscere meglio cinque importanti eventi che quasi simultaneamente promuovono l'arte contemporanea.

Le imprese e i finanziamenti alla cultura: analisi di un sistema ancora critico

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

Nel luglio 2001 la Commissione delle Comunità Europee ha varato un testo legislativo comunemente detto Libro Verde con l’obiettivo, esplicitato nel titolo di “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”. L’idea di fondo si basa sulla consapevolezza che l’incoraggiamento legislativo delle pratiche di sostegno sociale porti a una crescita aziendale che compensa l’incremento dei costi, quindi a uno sviluppo commerciale e sociale che arriva a completare l’operato (sovente insufficiente) delle politiche pubbliche. La CSR – Corporate Social Responsability è diventata ormai un must per le grandi imprese e sta prendendo piede anche nelle realtà aziendali minori. Il concetto meriterebbe un’ampia trattazione, ma ai fini dei nostri obiettivi è sufficiente una spiegazione meno approfondita. Con lo scopo di promuovere la propria immagine sul territorio di riferimento o nei confronti degli stakeholder, le imprese completano i propri interessi commerciali con operazioni volontarie di stampo sociale. Si aggiunga che il campo d’azione nel quale l’azienda decide di impegnarsi dipende da ciò che la stessa vuole comunicare, dagli ambiti di intervento di business già esistenti e, non ultimo, dagli interessi filantropici di chi gestisce le politiche aziendali di responsabilità sociale. Le imprese che operano in tal senso, perseguono anche obiettivi di sviluppo delle risorse umane interne, coinvolte nell’azione di Social Responsability. I risultati immediati sono una maggior visibilità e di conseguenza una maggiore possibilità di ricevere finanziamenti e di instaurare collaborazioni proficue. Le imprese – commerciali e non - perseguono finalità di tipo etico-sociale che contribuiscono a creare quella cultura d’impresa che legittima la posizione dell’azienda in seno alla società e all’economia nel suo insieme. Nella nuova economia il vantaggio competitivo si basa anche sulle idee che il marchio suggerisce, sulla capacità di associare il proprio logo a universi simbolici in grado di comunicare valori non solo commerciali.
Le attività di sponsorizzazione culturale e mecenatismo, strumenti d’azienda trasversali al marketing, rientrano a pieno diritto nella Responsabilità Sociale d’impresa, tanto che ultimamente si parla di Responsabilità Culturale d’Impresa per indicare quelle attività di impegno volontario che vanno a sostegno delle attività culturali. In particolare la sponsorizzazione sta vivendo un periodo di incremento e rappresenta per i soggetti coinvolti un’opportunità di crescita: il settore culturale ha bisogno di risorse economiche che il settore pubblico non è in grado di erogare, l’impresa ha bisogno di nuovi fronti comunicativi sui quali agire e attraverso i quali migliorare il posizionamento del proprio brand. E ovviamente la politica ha l’interesse a promuovere lo sviluppo di tali sinergie affinché la comunità ne tragga vantaggio e i privati intervengano laddove il settore pubblico è carente.
Purtroppo, sovente sono proprio i maggiori beneficiari di queste collaborazioni a essere impreparati: imprese e istituzioni culturali non sono ancora capaci di muoversi in maniera efficace in questo nuovo territorio. L’operatore culturale si rivela spesso non all'altezza di dialogare con i protagonisti del mercato, incapace di usare strumenti di persuasione e marketing, ancora troppo legato alla logica statalista e del sussidio e spesso troppo snob per evolversi con il sistema. D’altro canto le imprese preferiscono finanziare categorie di eventi dal sicuro impatto mediatico, tralasciando i progetti più piccoli, e sostengono la cultura in maniera sporadica, non continuativamente. Inoltre vengono spesso tacciate di perseguire scopi sociali per “lavarsi la coscienza” e nascondere operazioni commerciali considerate poco etiche da consumatori sempre più attenti e consapevoli.
Ciò che manca quindi è la reale volontà di incontrarsi e di negoziare soluzioni vantaggiose per i diversi attori in gioco.
Se si riflette sulla vastità del patrimonio nazionale e delle nuove produzioni, la situazione italiana denota un’anomalia diffusa, non determinata semplicemente da lacune legislative, come spesso affermato. È pur vero che rispetto ad alcune tradizioni nazionali di stampo anglosassone, il sistema tributario italiano pare non sostenere abbastanza erogazioni, sovvenzioni e lasciti, ma non bisogna dimenticare che la filantropia in alcuni paesi è considerata una dote doverosa. La legislazione riflette quindi le convinzioni sociali che antropologicamente si sono sedimentate.
Fortunatamente la Costituzione Italiana riconosce già all’interno dei propri Principi Fondamentali l’importanza della cultura e della sua promozione, aprendo così la strada all’elaborazione di successivi testi legislativi (in particolare artt. 9, 33, 41 Cost.). La sponsorizzazione è attività contemplata dalla legge Mammì del 1990, da una risoluzione del Ministero dell’Economia del 1992 (n. 9/204 del 17/06/1992) e dal più recente Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Inoltre numerosi testi normativi degli ultimi quindici anni si sono occupati di disciplinare il settore. Purtroppo però, soprattutto per quanto concerne gli aspetti legati alla de-fiscalizzazione, la materia è ancora frammentata, disorganica e, quel che più conta, poco utilizzata. Il sistema tributario risulta inadeguato a una situazione che si è evoluta in breve tempo e prevede disparità di trattamento in base alla natura del donatore e del beneficiario, o meglio dello sponsor e dello sponsee.
Eppure, a fronte di una presa di coscienza del legislatore (seppur ancora insufficiente), i diretti interessati spesso ignorano le possibilità esistenti. Da uno studio relativo al Premio Impresa e Cultura 2005 di Bondardo Comunicazione, si evince uno scarso utilizzo degli strumenti di defiscalizzazione: su un totale di 167 aziende solo il 46% ne aveva conoscenza e di queste 89 imprese solo 16 si sono avvalse degli incentivi vigenti.
Gli operatori culturali dovrebbero essere i primi a specificarsi in questa direzione, per disporre di strumenti utili alle ormai imprescindibili attività di fund raising. Sono rare le istituzioni che possono vantare un vero e proprio investimento di risorse per l’attività di ricerca fondi. Le risorse umane impiegate, nella maggior parte dei casi, hanno altri compiti e si riciclano in attività nuove senza tuttavia averne le competenze e, ciò che più conta, senza credere realmente in ciò che viene fatto. L’atteggiamento che viene denunciato da alcuni studiosi della materia è di remissione e pudica vergogna, come se chiedere il finanziamento per un progetto equivalesse a fare l’elemosina. Non si focalizza a sufficienza, invece, a livello comunicativo quali possano essere i vantaggi derivanti dalla collaborazione, quale l’importanza del progetto e soprattutto quale il valore che tali investimenti assumono se gestiti nel lungo periodo (in contrasto quindi le cosiddette partecipazioni spot).
A discapito però di tante criticità, derivanti probabilmente da un legame ancora forte con gli status quo esistenti, la situazione italiana è in evoluzione.
A investire maggiormente sono le aziende di grandi dimensioni, in particolare gli istituti di credito e le fondazioni bancarie (si consideri che i mecenati più munifici restano gli enti pubblici e le fondazioni). La cultura attrae risorse, anche se in misura nettamente minore rispetto ad alcuni segmenti sociali (assistenza, ricerca) e sportivi.
L’UPA (Utenti Pubblicità Associati) è l’organismo costituito dalle maggiori aziende che investono in pubblicità e ogni anno pubblica un importante studio di settore sui trend nazionali. Per il 2007 si è calcolato che l’investimento delle aziende in campo culturale sia cresciuto del 2,8%. Per il 2008 è previsto un aumento del 2,9%, anche se, considerata la situazione economica internazionale degli ultimi giorni, si tratta forse di un dato ottimistico o comunque suscettibile di variazioni. Purtroppo alcuni settori restano ai margini degli interessi dei privati: in particolare la danza e il teatro. Più ampio il sostegno alla musica, alle mostre e ai convegni, anche se la maggior parte dei finanziamenti è dedicata agli interventi strutturali (di per sé anche i più costosi e visibili nel lungo periodo) quali il restauro di momenti, il recupero architettonico e la creazione di nuovi spazi.
Comparando i dati di diversi studi di settore, emerge comunque un sistema non ancora in grado di esprimere le proprie potenzialità, che utilizza in maniera approssimativa gli strumenti a disposizione e che non ha ben chiari quali siano i reali obiettivi da perseguire. Il messaggio che ancora non passa è che l’investimento in cultura non è alternativo ad altre forme di comunicazione, ma si differenzia e può diventare un vero e proprio strumento legato alle politiche di brand, elemento cardine della catena del valore di un'azienda e di una collettività. Il sostegno alla cultura, non perseguendo solo finalità meramente commerciali, divulga principi quali sensibilità, partecipazione attiva alla vita sociale, innovazione, emozione etica ed estetica... insomma una serie di valori che consumatori attenti ricercano e che imprese all'avanguardia possono e devono veicolare. La sponsorizzazione culturale non è semplice contribuzione economica (anche se purtroppo in Italia è ancora così) ma deve impegnare attivamente gli organi aziendali che vengono in contatto con un mondo ricco di contenuti di creatività e innovazione che non può che arricchire l'impresa.
La sponsorizzazione ideale è quella che vede i diversi soggetti condividere uno stile e degli obiettivi, che viene pianificata sul lungo periodo e valutata come un'attività imprescindibile e bisognosa di attenzione. La partnership utile coinvolge l'azienda non solo utilizzandone il logo (e il denaro), ma permettendole di contribuire alla creazione di contenuti complementari, rendendola parte attiva del progetto. Inoltre, sponsor e sponsee devono essere sullo stesso piano, pronti a difendere la propria autonomia e a non piegarsi a politiche troppo rigide di marketing aziendale, non adatte al settore culturale. Le strategie utilizzate con successo in un dato settore, non sortiranno gli stessi felici effetti in contesti differenti; il mondo culturale non deve e non può appiattirsi su schemi di manager rampanti che vorrebbero snaturare il settore e le sue peculiarità. Diviene necessaria la conoscenza di un approccio nuovo, che sappia adattare vecchi strumenti a nuove realtà.

Sfida al Guggenheim di Bilbao: è in arrivo l’effetto Niemeyer

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

L’industria della cultura non ha confini, le cattedrali nel deserto spuntano come funghi tra gli applausi generali e il beneplacito degli amministratori locali che ambiscono ad accogliere orde di turisti conformati nel voler essere anticonformisti. Il motto è: Produrre Cultura! Come se questa fosse un bene tangibile e riproducibile in modo seriale. Alcuni sono troppo miopi (forse volutamente) per comprendere che il valore dell’arte non si può misurare con i numeri. Laddove l’economia vacilla si cercano nuove soluzioni per innescare ricchezza e il trend del momento pare essere il turismo culturale.
Il settore del turismo ha recentemente visto svilupparsi nuove filosofie più attente alla sostenibilità e contrarie al turismo di massa che svuota di senso il viaggio, inteso come ricerca e scoperta dell’alterità. Purtroppo per noi il turismo culturale è ancora agli esordi e, temiamo, lungi dal proporre nuovi e più educativi modelli di fruizione. Coloro che investono senza pudore in questo campo seguono la tendenza di costruire grandi contenitori luccicanti, spesso privi di reali contenuti, alla ricerca di prestigio e di ritorno economico. Sulla scia di quello che è stato definito “effetto Guggenheim” la cultura sembra essere diventata l’eldorado del nuovo millennio. Ma gli economisti lo ripetono da tempo: ciò che funziona su un dato territorio solitamente non è esportabile, anzi politiche economiche miracolose in un dato sistema possono rivelarsi catastrofiche in un altro. Chi si ispira al modello basco dovrebbe studiarne a fondo le caratteristiche e non solo i dati numerici e dovrebbe estendere la propria ricerca ad esempi simili che hanno però condotto a risultati del tutto diversi.
Il trend economico-culturale sta varcando i confini, non solo più Stati Uniti ed Europa, nuovi soggetti si affacciano sulla scena: Oriente, Medio-oriente e Sud-America sono le zone geografiche del nuovo sviluppo. In particolare in America Latina c’è un paese super attivo da questo punto di vista: è il Brasile che negli ultimi anni si è molto dato da fare: biennali d’arte, nuovi musei, produzioni cinematografiche, gemellaggi e relazioni con altri paesi. E da lì che proviene Oscar Niemeyer, instancabile architetto che all’età di cento anni accetta di eseguire un progetto che sarà pronto nel 2010 e che si preannuncia come diretto concorrente del Guggenheim di Bilbao. Ci fa sorridere quest’idea, considerato che il Guggenheim non è solo un luogo, ma è un’istituzione che oltre ad avere diverse sedi in tutto il mondo, vanta una storia di collezionismo, passione e relazioni personali che fa sì che i suoi contenitori strabocchino di contenuti.
Il progetto affidato a Niemeyer vuole dar vita a quella che è stata definita la Hollywood della cultura, denominazione che da sola fa “tremar le vene e i polsi”. La sede scelta per l’impresa è Avila, nel Principato delle Asturie, cittadina di poco più di ottantamila abitanti, che si trova a nord della Spagna, non così distante dalla capitale basca quindi.
Il progetto potrà contare, oltre che su un’ingente spesa di investimenti (si inizia con un budget di 30,5 milioni di euro) su un’inedita alleanza internazionale che qualcuno ha definito G8 della cultura:partecipano infatti al progetto il Centre Pompidou di Parigi, il Barbican Center di Londra, il Lincoln Center di New York, l’Opera di Sydney, la nuova Biblioteca di Alessandria, l’International Forum di Tokyo e il Centro culturale di Hong Kong. E non solo: sono state scomodate personalità celebri come Woody Allen e Paulho Coelho, Vintor Cerf (vicepresidente di Google) e il fisico Stephen Hawking. La vocazione quindi non è solo di promuovere l’arte propriamente detta, ma di dar vita ad un vero e proprio polo culturale di respiro mondiale. Secondo gli organizzatori ogni anno venti milioni di persone si riverseranno ad Avila e produrranno quello che, ancora prima di porre le fondamenta delle varie strutture, è già ottimisticamente stato definito Effetto Niemeyer. Il complesso prevedrà un’ampia piazza, tre edifici e una torre panoramica per una superficie di cinquantamila metri quadrati a ridosso della città alla quale sarà collegato da apposite passerelle pedonali. È chiaro che numerose strutture di ricezione turistica sorgeranno nei dintorni, creando un indotto economico che si preannuncia cospicuo.
Ammesso e non concesso che il progetto ottenga i risultati previsti.
Sicuramente i grandi nomi dei partner coinvolti contribuiranno a tenere alto l’interesse internazionale e ci auguriamo anche il livello qualitativo delle proposte culturali.

Zaha Hadid disegnerà il museo Guggenheim - Hermitage di Vilnius

Ritratto di Zaha Hadid by Steve Double Courtesy of Zaha Hadid Architects





A Vilnius, capitale della Lituana, negli ultimi anni si sta verificando un processo di modernizzazione e sviluppo strettamente connesso all’arte contemporanea. Istituzioni museali all’avanguardia, università e campus pronti ad accogliere ricercatori e artisti provenienti da ogni dove e nuove gallerie rendono vivace il panorama artistico. Una serie di sinergie istituzionali ha prontamente promosso questo fenomeno all’estero: in Italia nell’ultimo anno la Lituania è stata presente alla Biennale di Venezia con un proprio padiglione e paese ospite alla scorsa edizione della Fiera del Libro di Torino.
Ora Vilnius si appresta a costruire un nuovo centro museale dove troveranno luogo le succursali espositive del Guggenheim di New York e dell’Hermitage di San Pietroburgo. I due musei collaborano già dal 2000, anno in cui è stata inaugurata una proficua partnership con l’obiettivo di ampliare le possibilità espositive di entrambi. L’Hermitage vanta infatti una notevole collezione d’arte, appartenuta agli zar e quindi precedente il 1917. Il Guggenheim al contrario possiede numerosi capolavori di arte contemporanea.

La competizione per scegliere l’architetto del progetto è stata vinta da Zaha Hadid. L’anglo-iracheno si è aggiudicato l’incarico battendo mostri sacri come il nostro Massimiliano Fuksas e Daniel Libeskind. La commisione, composta da sei membri, annoverava a sua volta diverse celebri personalità, tra cui il direttore del Guggenheim, Thomas Krens e il direttore dell’Hermitage, Mikhail Piotrovsky. Zaha Hadid, cinquansette anni, nel 2004 è stata la prima donna a vincere il Pritzker Prize, la più alta onorificenza nel campo dell’architettura. In quell’occasione il presidente della giuria del Pritzker Prize, Lord Rothschild, commentò: "Sia nel suo lavoro teorico ed accademico sia nel lavoro pratico di architetto, Zaha Hadid si è impegnata verso il modernismo. Sempre creativa, Hadid si è allontanata dalle tipologie esistenti, dall'alta tecnologia ed ha cambiato la geometria delle costruzioni." Il primo ministro lituano Gediminas Kirkilas ha dichiarato la volontà della sua nazione di divenire il maggior centro internazionale di arte della regione. Ha sostenuto pertanto di non poter immaginare partners più azzeccati per proseguire in questa direzione. Una commissione di membri locali affiancati da esperti di entrambe le istituzioni coinvolte, effettuerà ora uno studio di fattibilità i cui risultato saranno presentati entro l’autunno. Se approvato, il progetto darà il via ai lavori che dovrebbero concludersi entro il 2011. Per ora l’ammontare investito non è stato reso noto, si attende appunto la conclusione del case study. Il museo sarà comunque gestito dallo Stato Lituano e da una o più fondazioni private. Nel comunicato ufficiale divulgato per l’occasione il primo ministro stima oltre 300 mila visitatori l’anno, quale siano le congetture sulle quali tali previsioni vengano calcolate, non ci è dato sapere.