Art for business Forum, Milano – 23 e 24 novembre 2007

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°2 - dicembre 2007/gennaio 2008)

Si è svolto a Milano il 23 e 24 novembre il primo Art for Business forum.
Organizzato dalla società di consulenza culturale Trivioquadrivio negli spazi dell’Hangar Bicocca, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, il forum vuole essere il primo di una serie di appuntamenti dedicati alle relazioni tra il mondo imprenditoriale e il mondo dell’arte. Il presupposto di base è che attraverso l’arte (concetto un po’ ampio ma comprensibile al target di riferimento) si possa contribuire allo sviluppo delle imprese e della classe lavoratrice di questo nostro Bel Paese sempre più inserito in un contesto plurinazionale.
I promotori del progetto hanno chiamato a raccolta personalità provenienti dal mondo delle imprese, dell’arte e delle università per una riflessione comune sui vantaggi reciproci derivanti dalle sinergie tra i diversi settori. Si sono susseguiti workshop con artisti, tavole rotonde, dibattiti, serate dedicate all’arte e diversi momenti conviviali. Rivolto principalmente ai professionisti della comunità aziendale, l'evento ambisce a creare un network orientato alla ricerca e al confronto, disposto a mettersi in gioco e capace di muovere e ampliare i propri punti di vista. Il forum si pone quindi come mediatore tra istanze diverse, consapevole della necessità di dialogo tra soggetti che normalmente si ignorano. Art for Business diviene quindi un’organizzazione che vuole rispondere all’esigenza di integrare i modelli economici classici con nuovi modelli di sviluppo d’impresa, attuali, completati dai valori e dalla sensibilità propri degli ambienti creativi. Si cerca quindi di donare una risposta necessaria ai cambiamenti imposti dall'economia della conoscenza: un sistema nel quale è preponderante la quota di occupazione ad alta densità di conoscenza, in cui divengono centrali i settori legati all'informazione, all'innovazione e al knowhow. La quota di capitale intangibile è spesso maggiore di quella di capitale fisico e il peso economico dei settori che sanno investire in questo senso è in continua crescita. Il messaggio suggerisce alle classi dirigenti di occuparsi di bellezza, di emozioni, di lasciare l'arte entrare nel mondo del lavoro, non più quindi relegata alla sfera del tempo libero. L'investimento in arte e cultura può risultare vantaggioso per un'impresa, per il suo management e per i suoi lavoratori, può innescare esternalità positive reputazionali, legare un'azienda al territorio di riferimento, ispirare un'azione di governance. Fondamentali risultano la definizione di una precisa corporate identity e la capacità di guardare al futuro. Attorno a questi concetti c'è un intenso fermento, l'arte diventa oggetto primario della comunicazione d'impresa per la sua intrinseca qualità di attrarre e di generare valori culturali, semantici, estetici e, non ultimi, economici. Le aziende non possono più sottrarsi dall'essere responsabilmente attente ai valori sociali e culturali delle società nelle quali si inseriscono, composte da consumatori sempre più attenti ed esigenti. Nella realtà però questi concetti risultano tanto astratti quanto poco applicati. Persino sconosciuti a illustri personaggi pubblici. Roberto Formigoni, che in qualità di Presidente della Regione Lombardia ha aperto i lavori della prima giornata, osserva che l’arte è in grado di influenzare i processi produttivi e che può ricavare vantaggio dall’unirsi al business world. Per fortuna, nello stesso pomeriggio, sarà la voce tonante di Michelangelo Pistoletto a opporsi a questa tesi, ricordando come l’arte sia lo specchio della realtà, prezioso indicatore sociale ed economico, che da sempre gode di autonomia propria. Pertanto in un mondo nel quale le sinergie producono sicuramente vantaggi reciproci, è probabile che sia la realtà economica a trarre maggior giovamento dal connubio. L’artista biellese argomenta la sua tesi e propone la creatività come centro della trasformazione sociale responsabile.
Già dalle prime ore pare chiaro quindi che la manifestazione milanese non si pone come obiettivo quello di fornire delle risposte, ma formula quesiti, fa in modo che vengano presentati differenti punti di vista e che si inneschino riflessioni. Incoraggiando il confronto, l’evento si fa promotore, input propulsore, capace di generare nuovi stimoli.
La forza di Art for Business, a nostro parere, risiede nell'aver saputo mettere insieme per due giornate una comunità eterogenea. Osservando la pluridisciplinarietà dei relatori e dei partecipanti e le conseguenti interrelazioni, si è potuto comprendere il significato della termine "rete". I momenti di pausa tra un forum e l'altro sono diventati momenti di interscambio, di trasmissione di conoscenze reciproche, di saperi normalmente custoditi gelosamente. Chiaramente non tutti gli interventi sono stati del medesimo livello, ci sono state testimonianze illuminanti e partecipazioni deludenti e ahinoi anche un paio di dolorose assenze, come quella del professor Semir Zeki, che avrebbe indubbiamente rappresentato una voce fuori dal coro. Interessante la testimonianza di un preparatissimo Francesco Jodice, motivato e chiaro nell'esposizione a differenza di quanti hanno partecipato con lui al forum dal titolo "Il territorio ferito". In questo caso, infatti, le diverse derivazioni professionali, anziché essere una risorsa, hanno creato un pout-pourri di esperienze slegate fra di loro. Gli artisti intervenuti durante le due giornate (oltre a Jodice, il già citato Michelangelo Pistoletto e Ferdi Giardini, artista e designer) si sono rivelati capaci oratori al passo con la contemporaneità socio-politica, attenti e puntuali descrittori della realtà.
Detonanti le lectiones magistrales degli accademici presenti. Il semiologo Paolo Fabbri ha innescato numerose riflessioni con un'ironica e irriverente lezione sull'arte contemporanea, sui gusti e i disgusti. Severino Salvemeni ha deliziato gli uditori con la lettura e il commento di "Lettera ai borghesi" di Charles Baudelaire. Infine, Pier Luigi Celli partecipando a un dibattito, ha proposto un punto di vista realisticamente analitico delle connessioni tra arte e impresa. A parer suo il mondo dell'arte e quello dell'impresa si trovano in antitesi ma poiché risulta conveniente al mondo aziendale investire in cultura ciò avviene. Si tratta di una moda che permette di lavare la coscienza e nascondere "con una foglia di fico" la realtà. Viene il dubbio che non abbia tutti i torti, considerato che anche a livello legislativo ci si muove nella medesima direzione. Come ricordato da Alessandro Laterza, l’Agenda di Lisbona sottoscritta nel 2000 prevede un piano strategico comunitario incentrato sull’economia della conoscenza e il Piano Strategico Nazionale di quest’anno prescrive all’Italia di investire in miglioramento dell’istruzione e delle risorse umane. La riflessione è quindi globale, dal Legislatore a Confindustria, dai grandi ai piccoli industriali; si aprono nuove frontiere di investimento e promozione che risultano convenienti. Per fortuna però, a farci credere ancora nella bontà della natura umana è l’intervento di Andrea Illy che, come un mecenate d’altri tempi, si prefigge di perseguire la bellezza come impegno etico e stile di vita. Attraverso il binomio bellezza – bontà crea una cultura del prodotto e un prodotto di cultura. La propensione all’acquisto ovviamente cresce, ma si tratta di un effetto innescato e non del fine primario. Stimolanti e sicuramente meno filosofici gli interventi dei vari testimonial del mondo imprenditoriale. Caterina Seia di Unicredit ci racconta, oltre alla nota storia del gruppo, di come l’arte smetta di essere un gadget, un surplus per passare a costruire il senso di un’azienda in relazione al territorio e di come la circolazione delle idee possa generare percorsi virtuosi. Il patrimonio estetico di un’impresa deve essere socializzato dapprima all’interno e poi all’esterno dell’azienda. È questa la direzione intrapresa dai gruppi bancari Unicredit e Deutch Bank che aprono periodicamente le proprie collezioni alla visita degli esterni.
A Milano si sono susseguiti oltre quaranta interventi, persino troppi considerato che alcuni si sono rivelati semplici spot. Sarebbe stato più interessante approfondire alcune tematiche, piuttosto che darne un breve assaggio. Bisogna però ammettere che la scelta dei relatori è caduta su eccellenze professionali che difficilmente si ha modo di ascoltare insieme. Ciò è frutto dei numerosi contatti della coppia Cantoni – Previ, già docenti, ricercatori e fondatori di Trivioquadrivio. Se possiamo muovere una critica, che vuole essere un suggerimento per le future edizioni, ci sarebbe piaciuto che ci fossero più relatrici. Il numero dei relatori donne risulta meno di un terzo dei referenti totali. Di questo non si può non rammaricarsi, considerato lo spirito innovatore e pionere che si vuole dare alla manifestazione.
Per ciò che concerne invece i partecipanti al convegno, si può dire che si sia conquistato con successo lo scopo prefissato: il target previsto è stato raggiunto. Sia in sala che ai workshop con gli artisti, la maggioranza degli iscritti risulta provenire dalle aziende e in qualche caso da enti pubblici, pochi gli studenti. Riteniamo comunque che i forum fossero adatti a professionisti di settori che si affacciano ora sulla scena economico-culturale, poiché dal punto di vista di economia della cultura, intesa come oggetto di studio, nulla di veramente nuovo è stato detto. Coloro che hanno avuto modo di approfondire l’argomento, nel percorso scolastico o professionale, hanno potuto soltanto compiacersi della presenza di case history e testimonianze dirette.
Trattandosi tuttavia di un settore in sicura espansione consigliamo di tenere d’occhio i lavori di Art for Business, le future edizioni e gli eventi collaterali che graviteranno intorno. Come promesso dagli organizzatori, si vuole creare un network di persone e imprese “amiche” del forum. Ci auguriamo che la nuova frontiera sia raggiungere le piccole e medie imprese e non solo i collossi industriali, ad oggi i primi a investire in cultura. Sperando che l’appuntamento si rinnovi, concludiamo dicendo che per quante critiche si possano muovere, quando un evento riesce a riunire una comunità di persone e a innescare delle riflessioni, il primo grande obiettivo è sicuramente raggiunto.

Peggy Guggenheim e l'immaginario surreale a Vercelli

Inaugura a Vercelli una mostra che ha tutti i requisiti per inserirsi tra gli eventi più significativi dell’attuale programmazione culturale italiana. Presentando parte della collezione di Peggy Guggenheim, la manifestazione nasce da un produttivo connubio di sinergie politico-territoriali e artistiche e di competenze multidisciplinari che quasi certamente non deluderanno il visitatore. La peculiarità dell’avvenimento risiede nel suo essere un insieme di situazioni collegate, gestite da professionisti dei diversi settori, soliti organizzare vetrine culturali di elevata qualità.
L’evento rientra nella stagione autunnale Contemporary Arts Torino Piemonte e pertanto gode già di una buona visibilità. L’idea vincente degli Enti locali piemontesi consiste nel dedicare un periodo dell’anno alle diverse forme della contemporaneità, che rendono il territorio attrattivo e dinamico. Già presente negli anni scorsi, nell’edizione 2007 la manifestazione si sviluppa e valica i confini torinesi, proponendo un programma ricco di appuntamenti diversi. Arti visive, cinema, musica, teatro e happening artistici si alternano in un calendario che valorizza e promuove il territorio regionale. Anche Vercelli, città solitamente trascurata dal turista, al di fuori del circuito dell’arte contemporanea, apre le sue porte a un’occasione insolita. Potrebbe essere l’inizio di una politica di rilancio territoriale su scala regionale, non solo centrata sul capoluogo.
Il progetto Arca, che prende il nome dallo spazio espositivo che inaugura assieme alla mostra, si svilupperà nel triennio 2007- 2009 con tre esposizioni che celebrano la figura di Peggy Guggenheim e il suo ruolo di mecenate e collezionista del ‘900. La scommessa è ambiziosa, anche se restano seri dubbi sul coinvolgimento del territorio stesso e sulla ricezione di un simile evento. Come già altre città, Vercelli correrebbe il rischio di ospitare manifestazioni culturali che, cattedrali nel deserto, attireranno visitatori “mordi e fuggi” del tutto disinteressati alla città e al relativo patrimonio. Gli stessi abitanti potrebbero restare indifferenti ad un avvenimento inusuale.
A smussare in parte questo spigolo concorre la scelta della location. L’esposizione viene infatti allestita in un luogo cardine della vita cittadina: l’ex chiesa di San Marco. Eretta nel Duecento con significativi interventi nel Quattrocento, decorata da un ancora semi-sconosciuto ciclo di affreschi attribuibili, probabilmente, al XV sec., è ora in fase di restauro. L’edificio, da luogo di culto, fu adibito a deposito, stalla, cavallerizza e, infine, fu luogo di scambi commerciali. Si tratta quindi di una struttura architettonica dalla destinazione indefinita, versatile, un luogo quasi onirico che si presta ad accogliere una mostra sull’ “immaginario surreale”. Oggi all’interno della navata centrale si sviluppa Arca, un parallelepipedo dalla superficie espositiva di oltre trecento metri quadri, progettato dall’architetto Ferdinando Fagnola. Appoggiato semplicemente sul pavimento, non ha punti di contatto né con le pareti, né con le colonne; la copertura è vetrata, affinché le volte dell’edificio siano visibili. Le navate laterali e l’abside, se pur in via di recupero, restano visitabili o disponibili per eventi espositivi altri.
E se chi ben comincia è a metà dell’opera, si può immaginare che gli organizzatori della prima grande mostra di Arca siano già a buon punto. L’esposizione, promossa dagli enti territoriali (Regione Piemonte e Comune di Vercelli), in collaborazione con la Fondazione Peggy Guggenheim, è stata curata dall’appassionato e competente Luca Massimo Barbero, curatore associato della Collezione Peggy Guggenheim. Vengono presentate, riunite per la prima volta, oltre cinquanta opere realizzate dagli avanguardisti nella prima metà del XX secolo, provenienti dalla collezione Peggy Guggenheim e dal Museo Salomon R. Guggenheim di New York.
Peggy (1898 - 1979), mecenate magnetica, collezionista non convenzionale, precorritrice del suo tempo, ebbe numerosi amici tra i nuovi extra-ordinari bohémiens che amavano superare il confine dell’immaginato. Le frequentazioni europee, le relazioni amorose e i legami intellettuali influenzarono il gusto estetico e le intuizioni dell’ereditiera. Introdotta dall’amico e consigliere Marcel Duchamps agli ambienti del Surrealismo, ne abbracciò da subito i temi filosofici, politici e artistici, in sintonia con il suo spirito ribelle. Un movimento radicale, votato al superamento della statica coscienza perbenista, prigioniera dei propri schemi, attraverso la liberazione di sensazioni legate all’inconscio, ai sogni, all’assurdo. La Guggenheim, organizzatrice di circoli intellettuali ed esposizioni d’arte, fu testimone, promotrice e sostenitrice delle varie fasi di questo movimento, impegno che le valse il soprannome di Dame du Surréalisme.
Peggy Guggenheim e l’immaginario surreale intreccia nella narrazione espositiva la storia della collezionista e delle opere stesse, passando dai protagonisti più celebri a quelli meno noti. Si viene a realizzare, una volta di più, il progetto filantropico di Peggy, la quale non solo documentò la storia delle grandi avanguardie del Novecento, ma riuscì ad appartenere pienamente alla sua epoca.
All’interno di Arca, Chagall, de Chirico, Picasso, anticipatori del movimento, danno il via al percorso chimerico che si sviluppa nelle opere di Mirò, Dalì, Magritte, Giacometti, Tanguy ed Ernst, secondo marito di Peggy. Non mancano capolavori creati per la padrona del Palazzo Vernier dei Leoni, residenza sul Canal Grande nella quale Peggy visse per trent’anni. A tale proposito, si segnala la Scatola in una valigia, di Duchamps: prima tra le celebri valigie, fu dedicata alla prima tra le celebri collezioniste, che la portò con sé negli States.
L’allestimento raccoglie capolavori mai esposti in Italia, come Pittura di Jean Mirò e opere il cui prestito risulta solitamente impensabile, come Il naso di Giacometti. Inoltre, sono presenti lavori di Braumer, Léger, Henry Moore, Jean Arp, Delveaux. Sicuramente, un percorso di visita unico, un allestimento esclusivo, capace di documentare un intero sistema intellettuale, una nuova maniera di concepire l’arte stessa e un nuovo modo di rappresentarla.

Trasformazioni sonore e mutamenti estetici: i cantieri d'arte dei fratelli De Serio

Installation view

Le creazioni contemporanee raggiungono il proprio scopo quando, rapendoci, consentono di mutare punto di vista. È ciò che accade al visitatore della video installazione Gru. Variazione per coro di sei gru e altoparlanti, opera dei fratelli De Serio.
Entrando nel 500 Art Garage, nuovo spazio espositivo torinese, si perdono i punti di riferimento spazio-temporali, si diviene parte stessa di un’opera dinamica. La casualità pare circondarci, alternanze di immagini, suoni, luci ci avvolgono. In realtà, discorrendo con gli artisti, si scopre che nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio è frutto di una ricerca che è allo stesso tempo tecnica e filosofica.
Art Garage è un’officina dedicata agli artisti emergenti. L’Associazione Passaporto, ospitata in un ex garage restaurato, di proprietà della Transcultural Barcellona, si fa promotrice di talenti contemporanei. All’interno di uno spazio non istituzionale si susseguiranno allestimenti eterogenei, workshop ed eventi. Un contenitore destinato alle sperimentazioni artistiche e alla selezione e promozione delle nuove tendenze, costantemente alla ricerca di nuovi interlocutori con i quali dialogare. Giulia Coss e Francesca Gambetta, ideatrici del progetto, intendono lasciare carta bianca agli artisti, che svilupperanno i propri lavori in situ, realizzando produzioni ideate specificatamente per un luogo, espressioni inedite di creatività. Sicuramente la scelta di iniziare con un’opera dei fratelli De Serio si rivela lungimirante: annulla il rischio di insuccesso e accresce la visibilità. Pluripremiati, attivi nel cinema da diversi anni, dalla Triennale di Torino a oggi non hanno smesso di esporre, lavorando sia come sceneggiatori e registi che come videoartisti.
L’opera esposta oggi, intervento site specific, documenta la nuova urbanistica, ponendola al centro della dimensione umana quotidiana. Il progetto Gru. Variazione per coro di sei gru e altoparlanti, presenta la trasformazione di un vasto territorio che interessa le periferie torinesi. Le stesse periferie che dalle quali i De Serio provengono e che nella Torino post-olimpica sono disseminate di cantieri. Parte da qui una narrazione della città capace di restituire all’arte il suo intrinseco ruolo sociale. Gli artisti hanno posizionato una videocamera su sei gru presenti in altrettanti cantieri, riprendendo il territorio sottostante a 360°. All’interno di Art Garage sono state posizionate sei colonne di diversa altezza, costruite con tubi di gomma utilizzati dall’industria fognaria. I capitelli di cinque di queste colonne sono videoproiettori che, roteando, proiettano i video delle gru su tutto il perimetro dello spazio. Sull’ultima colonna, chiamata Gru 0, due altoparlanti diffondono una composizione musico-industriale creata isolando e mixando tra loro i suoni preponderanti registrati in presa diretta dalle diverse gru. Art Garage diviene il tempio della trasformazione cittadina, con i suoi suoni, i suoi palazzoni e le sue criticità. Le sei colonne, posizionate a distanza irregolare, riproducono, in scala, la mappa dell’area urbana ripresa, in una metafora della creazione e delle variazioni.
Attraverso la rivelazione del cambiamento, l’opera arricchisce l’identità urbana del visitatore e, simultaneamente, diviene l’eredità del futuro, il patrimonio del domani. Con la loro installazione, gli artisti torinesi, celebrano un dinamismo che trascende la dimensione geografica e storica per assumere connotazioni collettive. La città viene restituita ai suoi abitanti che voyeristicamente la osservano da un nuovo punto di vista, modificando il quotidiano. In Art Garage è lo spazio pubblico ad essere documentato, ma paradossalmente è la dimensione individuale a svilupparsi. Ogni visitatore diviene fruitore della visione estetica in modo esclusivo e personale. L’opera in sé dà vita a combinazioni infinite, a caleidoscopiche metamorfosi e ognuno può scegliere la propria angolazione, vedere una sfumatura o cogliere un dettaglio a proprio piacimento. E il suono, quasi ipnotico, riporta a sperimentazioni industriali futuriste o a ricerche musicali elettroniche, avvicinandoci alla musique concrète di Pierre Schaeffer o alle esperienze rumoriste degli Einstürzende Neubaten.Visione e ascolto, dinamicità dell’installazione e dello spettatore, invitato a muoversi con l’opera e nell’opera, rendono questa esperienza plurisensoriale decisamente originale.
Da segnalare infine il breve catalogo, a disposizione dei visitatori, accompagnato da appunti, schizzi e una sorta di partitura musicale che si rivelano interessanti per comprendere, almeno in parte, il lavoro “invisibile”che sta dietro alla creazione della video installazione.

Il progetto, patrocinato da Regione Piemonte e Città di Torino, è sponsorizzato da Fiat 500 .
In collaborazione con ARTISSIMA 14. Fiera Arte Contemporanea Torino, è inserito nel circuito Contemporary Arts Torino Piemonte.

Processi estetiti e fenomeni organici, aspettando il PAV

Fino al 16 dicembre sarà aperta al pubblico Living Material, mostra curata da Ivana Mulatero che si sviluppa attorno a cinque installazioni bio-art. Gli artisti chiamati a progettare un’anteprima di quello che sarà l’Art Program del PAV – Parco d’Arte Vivente, sono stati invitati a dar vita a creazioni ad hoc per la sede di via Giordano Bruno 181. Michel Blazy, Ennio Bertrand, Francesco Mariotti, Jun Takita e la coppia Andrea Caretto – Raffaella Spagna sono accomunati dalla ricerca dell’arte del vivente. Le opere presenti, destinate a durare quanto l’esposizione, sono quindi effimere e si relazionato con il visitatore, con il quale condividono il concetto di tempo. La riflessione si sposta dal rapporto uomo-ecologia alla biocompatibilità, dalla processualità temporale alla consapevolezza dell’esistenza di diversi microrganismi. Diversi workshop ed eventi collaterali fanno da cornice all’esposizione, come la presentazione del volume “Dalla Land Art alla Bioarte” che ha avuto luogo ad Artissima, durante la tavola rotonda “Luoghi e processi creativi dell’arte del vivente”.
Ad Artissima ha anche trovato spazio il lavoro di Blazy, Le tombeay du poulet aux quatre cuisses, rientrato ora alla sede di via Giordano Bruno. Attraverso quest’installazione, Blazy ci parla della vita e della morte, ci mette di fronte a un’opera concettuale nella quale alcuni elementi si degradano e altri si generano in un ciclo poetico-biologico.
Ennio Bertrand ci riporta invece indietro nel tempo, a quando a scuola facevamo piccoli esperimenti con i limoni e i fili di rame; il pensiero corre, oggi, alle fonti di energia rinnovabili.
Caretto e Spagna, celebrando quella che fu la sede del mercato ortofrutticolo torinese, presentano un assemblaggio botanico composto di ortaggi rivitalizzati. Prosegue quindi la ricerca ecologista di questo duo, già presente con un lavoro simile alla prima triennale di Torino. Ad essere indagato è il rapporto con il cibo e con le risorse alimentari.

Infine il giapponese Jun Takita conduce esperimenti sulla fotosintesi e sulla bio-lumiscenza, utilizzando alghe e muschi transgenici si sofferma a pensare all’origine dell’uomo e alla sua natura.
Negli spazi adiacenti la mostra, completa il percorso espositivo la presentazione di Glow-Up!, progetto quadriennale messo a punto da Francesco Mariotti. Con il coinvolgimento di gruppi di studenti torinesi, si è lavorato alla mappatura delle zone verdi nelle quali sono ancora presenti le lucciole. L’idea è quella di ricreare uno spazio adatto ad accogliere e a far prosperare questi insetti, che, indicatori della qualità ecologica di una zona, riportano a un’idea di ottimismo e di boschi fatati.
Il progetto del PAV, di cui questa mostra è preview, risponde all’esigenza di creare nuovi siti e strutture che possano accogliere innovative sperimentazioni artistiche, al passo con i tempi e con i temi contemporanei. Tra i membri del comitato di direzione artistica Nicolas Bourriaud, già direttore del Palais de Tokyo, fondatore della rivista Documents sur l’art e teorico dell’Esthetique relationelle. Bourriaud ritiene che la creatività scaturisca laddove vi siano interattività, convivialità e relazioni. Il PAV quindi si prefigge di ottenere una singolare partecipazione del pubblico, naturalmente coinvolto e interessato. La bio-art infatti risulta comprensibile, annulla parte delle distanze poiché creata con materiali “famigliari” con i quali si avverte una certa confidenza. Il parco, biocompatibile e funzionale al paesaggio, conterrà dei laboratori polivalenti per la ricerca tecnico-scientifica e l’arte. Gli artisti innescheranno processi viventi che verranno monitorati e rigenerati dallo staff. Piante, animali e persone, e le relazioni che si verranno a creare tra questi diversi soggetti, genereranno trasformazioni inaspettate e non predeterminate. Si tratterà quindi di un luogo artistico in costante sviluppo, non solo un contenitore d’arte, bensì un laboratorio artistico sostenibile e durevole.